sabato 28 novembre 2020

Parte terza...in un altro ti svegli e devi cominciare da zero, situazioni che stancamente si ripetono senza tempo...


 




Stavo vivendo una situazione che si ripeteva nel mio animo da anni e che da anni provavo piacere a riviverla. 



Ogni anniversario, ogni manifestazione di italianità suscitava in me un vero entusiasmo. Partecipavo alle feste nazionali in piazza, all'alza ed ammaina bandiera nelle giornate del 2 giugno ma in particolare nelle giornate di novembre quando si festeggiava la prima e la seconda redenzione, quando si ricordava il ritorno di Trieste all'Italia del 1918 e dell'Italia a Trieste nel 1954.                  Il seme gettato durante gli anni scolastici dell'infanzia e dell'adolescenza aveva dato e continuava a dare il suo frutto. Si, e ne fui pienamente appagato, chissà forse ero, e lo sono ancora, una di quelle persone che hanno bisogno di credere in qualcosa, di aver una fede - ovviamente non sto parlando della Fede in senso stretto - di avere un ideale a cui far riferimento. Quando nel 1964 e poi nel 1984 ed ancora nel 2004 Trieste ospitò la tradizionale Adunata Nazionale degli Alpini il mio entusiasmo era alle stelle. Si sa che il Corpo degli Alpini ha suscitato e suscita tutt'ora, al di là di qualsiasi considerazione ideologica, uno spontaneo affetto anche da chi come me, cambiando modo di guardare le cose , le cose che guarda cambiano.        Ma gli Alpini no, essi meritano gran rispetto al di là di tutto proprio perché anche loro, ma forse soprattutto loro per quanto riguarda la storia delle nostre terre, hanno pagato in termini di sacrificio di vite umane la sceleratezza delle guerre. Loro come i nostri concittadini del 97°, hanno dovuto partire, forse molti di loro per la prima volta con un vestito, foss'anche una ruvida divisa, con un paio di scarpe ai piedi ma anche imbracciando un fucile per farsi ammazzare o addirittura ammazzare un parente qualche volta perfino un fratello in quella "inutile strage".

domenica 22 novembre 2020

Parte seconda ...un giorno credi ...

Un giorno credi di essere giusto, e di essere un grande uomo...






Anno Domini 2017.                                                                                      

È primavera ormai inoltrata.

C'è del movimento in città, manifesti affissi lungo le strade richiamano l'attenzione dei passanti.
C'è una persona da festeggiare:  la nostra mamma, la 
"Unsere Landes Mutter Maria Theresia".


***


Ero ormai da qualche anno in pensione, gli impegni professionali non mi assillavano più e potevo concedermi il tempo da dedicare allo svago, agli hobby trascurati da una vita praticamente dedita al lavoro.                                                                                                                                                                          A dire il vero ad un certo punto sentii la necessità di un qualcosa di più di quello che stavo facendo ma, soprattutto,  di un qualcosa di più quello che avevo appreso durante gli anni scolastici che, come ben si sa, non sono particolarmente entusiasmanti per ragazzi ed adolescenti.

La curiosità mi stimolava ed avevo voglia di mettermi in gioco.
Fu così che decisi di iscrivermi al corso serale, dell' I.T.C. "G.R. Carli", qui a Trieste,  per il conseguimento del diploma di ragioniere e perito commerciale. Tecnicamente mi  sarebbe servito ben poco, anzi nulla,  ma mi avrebbe dato la possibilità di ampliare i miei orizzonti.
Il mestiere, l'arte o la professione di infermiere lo svolgevo già da anni, con soddisfazioni che mi gratificavano,  ma volevo aprirmi a nuove esperienze. Apprendere cose nuove come le lingue, la storia, la letteratura ed ovviamente le materie tecniche legate a quel tipo di corso di studi.
Cinque anni durò la nuova stagione da studente/lavoratore; ogni sera dalle 19 alle 23, sabato compreso; interrogazioni, compiti in classe si susseguirono anno dopo anno, ed alla fine arrivò il tempo dell'esame di maturità.
Dopo le prove scritte e dopo quasi un mese di attesa, arrivò il momento "clou",  quello indimenticabile per ogni studente di trovarsi di fronte ad una commissione di estranei che valuterà il tuo lavoro.
La materia da me proposta in quell’occasione  - si trattava di diritto  -  mi venne sostituita all'ultimo momento con ragioneria  ed il tempo a disposizione per mettersi, alla meno peggio, in linea con le richieste della commissione non nera molto; ormai mancava poco, anzi un solo weekend per scendere nella "fossa dei leoni"

Una domenica estiva trascorsa, lo confesso, nello stabilimento balneare di Grignano, a Trieste, ma, tra un tuffo ed una doccia rinfresca-idee, dedicata a scorrere le quasi 500 pagine del testo di "Ragioneria" .. .

...<<speremo ben>>  mi dissi, cercando di rincuorarmi.                    

E venne il 31 luglio, era di lunedì.                                  Fui chiamato alle 14. Il caldo era opprimente per tutti e, fortunatamente,  lo era anche per gli esaminatori.

L' interrogazione iniziò con uno scambio di impressioni e di idee sul tema di italiano svolto, poi le interrogazioni o meglio i colloqui, l’esposizione dei concetti appresi. Prima ragioneria, poi, per gentile concessione, mi lasciarono trattare anche la materia da me preferita, il diritto. Il tutto durò meno di 30 minuti, eravamo tutti stanchi; quindi  fine dell'esame, risultato:  58/60.

Chiusura della sede... ero stato l'ultimo dei maturandi.

Avevo da pochi mesi compiuto 33 anni.

Poi l'entusiasmo per quella esperienza,  che mi aveva arricchito non poco, mi portò ad iscrivermi a Giurisprudenza, ma la mia esperienza universitaria, ahimè, si limitò al pagamento delle tasse d'iscrizione.
Troppo impegnativo conciliare il lavoro lo studio, la famiglia.
E così abbandonai  i libri,  lo studio, diciamo così, intensivo.


***


Già ma parlavamo del tempo libero.

Ma cos'è il tempo libero per chi non lo ha mai coltivato e, quindi, non lo conosce o quanto meno non sa apprezzarlo?
Come sai cosa fare nelle ore che prima dedicavi al lavoro?                                                                      C
ome sai cosa fare, dove andare, con chi condividere questa nuova età che ti viene concessa?

Il mio lavoro, la mia professione mi aveva dato molte soddisfazioni ma furono gli ultimi anni quelli che di più mi arricchirono umanamente ed intellettualmente.
Oltre alle competenze proprie del mio mestiere, tenni per lungo tempo la rappresentanza sindacale e quella dei lavoratori riguardo la sicurezza sul posto del lavoro,  oltre all'incarico di addetto anti-incendio all'interno della casa di cura dove lavoravo. 
Ma c’era un'altra cosa che  mi dette particolare soddisfazione e fu l'aver istituito,  all'interno dell'azienda, un CRAL, un circolo aziendale culturale e del tempo libero.
E fu questo impegno, ed  in particolare la parte riguardante la cultura, che mi mise nelle condizioni di conoscere persone di grande spessore e molto rispettate in città di entrare, forse per la prima volta, nel vivo della storia della mia Trieste.


***

                          

La storia, e la mia città.

Non è facile raccontare se stessi raccontando la storia della propria città dall'interno, in un contesto di estremo "risciacquo" dove solamente pochi nostalgici lo desiderano o, forse, come nel mio caso, rivogliono indietro la propria identità. Non è facile raccontarla questa storia ai giovani triestini del terzo millennio ormai informatizzati, connessi con il mondo di oggi tramite Facebook, Twitter, TikTok, Istagram o altri "social" , risvegliare in loro un interesse per il passato quando, giustamente, sono proiettati verso il futuro.                            Ormai, si sa, acqua passata non macina più.

E non è facile nemmeno raccontare questa storia a chi  è triestino d'adozione, a chi è triestino provvisorio, a chi è triestino perchè ama l'esteriorità di questa città un po' onirica ma spesso senza saperne granchè. 

Giorni fa ho avuto modo di parlare di questo con una anziana coppia di amici, anziani senz'altro,  ma con la mente aperta, la lucidità delle persone giuste, e con le conoscenze di persone istruite.  Approdati in diversi periodi della loro vita a Trieste, la storia di questi due amici è diversa. Provengonono da differenti  realtà  e solamente da pochi anni hanno deciso di condividere la loro esistenza, in questo caso triestina. Lei, Annetta, (userò un nome di fantasia) per motivi famigliari, verso la fine degli anni sessanta per seguire il marito, che per lavoro venne traferito da Roma a Trieste, prese armi e bagagli e figlioletta in tenera età e raggiunse questo estremo ed in parte per molti, sconosciuto, lembo del nord-est della penisola. Lo fece con molti dubbi e molte incertezze ma anche con incoraggiamenti da parte di chi, romano come lei, Trieste l'aveva conosciuta ed apprezzata. Annetta, dicevamo,  è romana di nascita ma con legami anche con i bellissimi posti della riviera ligure, quella di levante, per intenderci quella delle Cinque Terre, e tutt'ora mantiene rapporti seppur ormai solamente telefonici o epistolari con gli amici e parenti dell'altra parte del Mediterraneo.                  Annetta ed Alfonso (anche per lui userò un nome di fantasia) si conoscevano già da giovani ma le loro strade presero  direzioni diverse. Lei, giovane e bella ragazza, si sposò a Roma,  con un professionista molto apprezzato in Trieste; lui, Alfonso,  genovese per nascita ma un po' meneghino di fatto, si unì felicemente con una splendida signora concittadina.  Le circostanze della vita, dei nostri amici, poi fecero si che si reincontrassero e decidessero di unire le loro solitudini. Lui, rimasto vedovo da un paio di anni e lei, da tempo separata dal marito, allora con figli da crescere, ora adulti, felicemente sposati e professionalmente appagati. Annetta era ormai diventata triestina a tutti gli effetti avendo impostato la propria vita, tanto prima che dopo la separazione,  frequentando una cerchia di amici per lo più della Trieste storica, gente di mondo, persone  che le hanno dato facoltà di inserirsi nella società triestina. E lo fece con la caparbietà di una donna che voleva uscire dalle difficoltà che le vicissitudini della vita le aveva imposto... sembra quasi un romanzo di sveviana memoria. Alfonso, da parte sua,  proveniva da una austera famiglia, genovese, d'altri tempi;  dopo la laurea in legge trovò la sua strada e la sua fortuna nell'imprenditoria e da tipico "self-made man" milanese con quel pizzico di burberità ligure ma non con la taccagneria peculiare di quei luoghi, anzi con una generosità ed una signorilità d'animo propria di nessun luogo, girò il mondo in lungo ed in largo ma poi alla fine, vuoi per l'affetto che lo legava ad Annetta vuoi per l'improvviso amore suscitato in lui da Trieste  - come successe in altri tempi a Max d'Asburgo quando approdò nella baia di Grignano e li vi costruì il suo "nido d'amore" per Carlotta e per se -  anche per Alfonso questa scintilla improvvisa ha fatto si che decidesse di rimanere a Trieste per il resto dei suoi giorni.        Ed io ho avuto l'onore ed il piacere di accompagnare l'amico Alfonso in varie passeggiate per il centro ed i dintorni della nostra città raccontandogli, con molta modestia, la storia dei luoghi che mano a mano visitavamo, la storia dei personaggi importanti che si sono susseguiti e la storia non raccontata di  Trieste. Ed è allora che mi son reso conto di quanto sia sconosciuta la nostra storia e di quanto sia difficile raccontarla, stando per così dire dall'altra parte della "trincea", a chi è italiano per nascita e per cultura e quindi a chi non è triestino "patoco" (=verace da generazioni)

Ma torniamo alla mia  storia, al mio percorso alla riscoperta della mia città.


segue...









venerdì 20 novembre 2020

Parte prima. Caro amico ti scrivo...

 




STORIE NASCOSTE D’ALTRI TEMPI

 

Salve, mi presento,

… il mio nome è Peschier, Carlo Peschier, sono nato a Trieste il 19 marzo del 1949.

 

Trieste in quell'epoca, ma lo è tuttora, si trovava in una situazione giuridica internazionale particolare: era “la parte per il tutto”,  era  Il Territorio Libero di Trieste.

Entità statutaria sancita e costituita  per effetto del Trattato di Pace, firmato a Parigi nel febbraio del  1947  - interessante leggere l’allegato VIII allo stesso Trattato di Pace - alla fine della seconda guerra mondiale, il tutto al fine di costituire una sorta di cuscinetto tra il blocco dell'Est ed il blocco dell'Ovest che, allora, dopo la fine del conflitto e conseguentemente la fine delle alleanze strategiche cominciarono a guardarsi in cagnesco dando origine alla cosiddetta  guerra fredda.
Lo stesso premier britannico Sir Wiston Churchill, ebbe a confidare in un telegramma al presidente americano Truman:


"Una cortina di ferro è calata sul loro fronte [dei russi]. Non sappiamo che cosa stia succedendo dietro di essa. Non c'è dubbio che l'intera regione ad est della linea Lubecca– Trieste – Corfù sarà presto completamente nelle loro mani. A ciò inoltre bisogna aggiungere l'enorme area tra Eisenach e l'Elba che gli americani hanno conquistato e che presumo i russi occuperanno fra poche settimane, quando gli americani si ritireranno.»

 Ecco che, quindi,  si rese necessario interporre tra i due blocchi un cuscinetto che potesse garantire in qualche modo il seppur precario equilibrio della pace appena raggiunta.

 Trieste, perciò rimase in sospeso dagli anni 1945-1947 al 1954, nove anni in cui il  governo della stessa città venne affidato ad un comando all'uopo predisposto: il GMA ovvero “Governo Militare Alleato” composto dai rappresentanti dei governi  del Regno Unito, degli  Stati Uniti d’America e della Nuova Zelanda , poi ritiratasi lasciando l'amministrazione, alternativamente, agli inglesi ed agli americani.

Tutto questo stato di cose rimaneva in sospeso, in attesa della nomina di un governatore ufficialmente designato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sotto la cui egida il Territorio di Trieste permane tutt'ora.  

Il previsto governatore, come stabilito da dette norme, non è ancora, a tutt’oggi,  stato ufficializzato.

E Trieste rimase e rimane in sospeso.

Per ovviare a questa impasse, nell’ottobre del 1954,  venne sottoscritto un accordo,  il cosiddetto “Memorandum di Londra”  con il quale si decise di dividere il TLT in due zone: la cosiddetta "zona A" da affidare all'amministrazione provvisoria del governo italiano e quella cosiddetta  "zona B",  da affidare all'amministrazione provvisoria del governo della Federazione di Jugoslavia.

Non voglio entrare nei particolari geo-topografici della suddivisione del territorio, sarebbe troppo lungo e troppo doloroso.

Poi venne il famigerato "Trattato di Osimo", ma questa è un'altra storia.

Ma torniamo a me.

Quindi, come detto,  sono nato a Trieste,  in uno Stato “limbo” , sospeso in un mondo che esiste ma non esiste, in un non luogo, del quale, però, nelle pubblicazioni internazionali ufficiali ne viene riproposta e riconosciuta la bandiera, accanto alle bandiere di tutti gli altri paesi del mondo,  ma la sua vera posizione giuridica non è stata ancora convalidata nonostante leggi e decreti dello stesso governo provvisorio italiano, a cui è affidata l’amministrazione,  ne prendessero atto.

Quindi posso, a tutto diritto,  considerarmi di cittadinanza e nazionalità triestina, forse ibrida,  essendo appunto,  nato in quel posto e nel bel mezzo di quella strana, misconosciuta ai più, situazione politica internazionale, che fortunatamente ha segnato momenti particolarmente floridi per l’economia del neonato “stato” determinati  anche dalla creazione del Porto Franco Internazionale a tutt’oggi, forse, tra i più importanti in tutta Europa, avendo collegamenti con l’Oriente, con il Bacino Danubiano e quindi con l’est Europa.


***


Ma facciamo ora un passo indietro per meglio chiarire ciò che voglio esprimere.


Mio papà, Giordano, nacque a Trieste il 16 luglio del 1909;  nella Trieste-Triest-Trst, di fatto e di diritto appartenente prima all'Austria, dal 1382,  poi all'Impero Austro-ungarico.

Anche le ascendenze del mio vecchio non nascondevano la loro vera provenienza ed egli  ne era orgoglioso. La famiglia d’origine difatti proveniva dalla Boemia, ora Repubblica Ceca e precisamente nella parte sud-occidentale della stessa, da una città chiamata Blatnà a meno di cento chilometri dalla capitale Praha, dove  esistono ancora famiglie con questo patronimico.

Al tempo della  nascita  di mio papà, Trieste stava vivendo uno dei suoi momenti più felici. Viveva la "Belle Époque", le arti fiorivano, i commerci pure, era il “mondo di ieri” di cui ce ne ha ampiamente parlato Stephan Zweig.

In giro per l'Impero c'erano senz'altro tensioni, primavere e movimenti irredentisti,  ma l'idea di una guerra non veniva presa in considerazione e,  foss' anche  ciò si verificasse, la convinzione era che sarebbe stato un "blitz", una cosa da mangiarci le caldarroste alla fine, e ancora prima del panettone, quindi  nessuno ci dava peso, almeno non prima del tragico 24 giugno 1914.

Mio papà era di lingua italiana, vivendo ovviamente in  centro città, ma parlava un po' il tedesco ed aveva anche qualche rudimento di sloveno come si conveniva  in una città multietnica qual'era Trieste da sempre.

Ovviamente arrivare alla tenera età di cinque anni ed affrontare una guerra lunga, massacrante, con fame e malattie - non dimentichiamo che nel 1918 scoppiò la pandemia detta “Spagnola”  che durò più di due anni –  non sarà stata una cosa facile per lui, piccolino, per i suoi fratelli più grandicelli e per tutte le famiglie di Trieste allora posta proprio con il fronte bellico alle spalle.

Di mio nonno, Carlo, non ne so molto. Infatti dopo la mia nascita, nel 1949, la situazione locale era tale, come più sopra accennato, che di certe cose si evitava di parlarne,  più  per pigrizia mentale che per altro; di lui so solamente che era impiegato come spedizioniere postale e, sembrerebbe, che  avesse ricevuto qualche encomio solenne,  ma per cosa non lo so.

La mia nonna e la mia bisnonna provenivano a loro volta:  Anna, dalla quale la mia sorella maggiore ha preso il nome, da Spalato, allora austro-ungarica, e di cognome faceva “Rossovic(h)”; la bisnonna, invece,  si chiamava Carolina, proveniva dalla Contea di Gorizia e di cognome faceva “della Bona”.

 Per quanto riguarda la parte materna, la mamma, Nella,  nacque cinque anni dopo papà. Era il 31 ottobre 1914, Trieste-Triest-Trst era ancora di fatto e di diritto austro-ungarica,  già entrata però  nel conflitto mondiale, si perché da noi a Trieste la prima guerra mondiale ha una datazione diversa da quella del resto dell’allora Regno d’Italia: a Trieste si parla della guerra del 1914/1918, dall’altra parte, quella  italiana,  si parla della guerra del 1915/1918, discordanza tipica della nostra peculiarità. 

Anche la mamma, quindi,  era cittadina asburgica ma la sua estrazione era diversa di quella di mio papà.

La sua famiglia apparteneva, sia da parte di mio nonno che di mia nonna materni, a quel gruppo di cittadini triestini chiamati “regnicoli” ovvero persone che provenivano  dal vicino Regno d’Italia in cerca di lavoro,  perché qui di lavoro ce n’era ed era facile avere un adeguato benessere sociale, intellettuale e finanziario; difatti il mio nonno materno,  Emilio, infermiere di professione, era originario di Cesena e la nonna, Celeste, a sua volta proveniva da Motta di Livenza. Tutti due  territori entrati da pochi decenni a far parte del neonato Regno Savoiardo.

Chiaramente il sub-strato politico-ideologico di mamma e papà erano diversi, ma papà amava la mamma e, come spesso avviene, in casa i pantaloni li portava lei.

 Facciamo ora, nuovamente,  un balzo avanti di cinquanta anni, o forse più, quando io ragazzino frequentavo la scuola elementare: era la Scuola Elementare Statale Fabio Carniel – già, ma chi era costui? –

 Non si stava poi  tanto male in quelli anni, la guerra era  da poco finita, si incominciava ad intravedere un po’ di luce in fondo al tunnel.

Papà Giordano aveva trovato occupazione come “cerin”, poliziotto o piedipiatti o sbirro, chiamatelo come volete,  nella locale neo costituita  Venezia Giulia Police Force” (VGPF), meglio conosciuta come  Polizia Civile.

Faceva parte del gruppo motorizzato fotoelettrico, ossia lavorava su di quei grossi mezzi militari dotati da enormi fari per illuminare i cieli delle notti buie della guerra fredda alla ricerca di velivoli non identificati. Quando prestava servizio notturno lo si poteva trovare nel piazzale del Colle di San Giusto oppure al Castello di Duino, dove risiedeva una parte del comando GMA;  partecipò anche, come unità di soccorso, durante l’alluvione del Polesine del 1951.

 Poi, dopo il Memorandum d’Intesa, arrivò l’Italia e molti, all’insegna del motto: “La madre arriva, i figli partono” fecero domanda d’espatrio in altri stati. Anche mio papà la fece, ma quando gli arrivò la conferma per l’imbarco suo e della sua  famiglia alla volta dell’Australia non se la sentì di abbandonare la sua Trieste, stracciò il documento d’imbarco e restammo qua.

Il papà continuò a fare il poliziotto passando poi sotto l’amministrazione civile del Ministero dell’Interno, prestando servizio presso l’Ufficio Politico della Questura di Trieste.

La mamma, casalinga, con grande maestria,  cercava alla meglio di mettere assieme il pranzo con la cena;  la mia sorella maggiore, Anna, lavorava e la sorella di mezzo, MariaLuisa, andava a scuola. C'è stato un momento difficile in quelli anni, la mamma si ammalò seriamente e dovette rimanere ricoverata al Sanatorio di Aurisina per molto tempo. Alla famiglia, ed in particolare a me che ero un ragazzino, ci pensò la mia sorella Marisa, anche lei in giovane età che pur continuando la frequentazione scolastisca accudiva alla casa con sacrifici personali e con grande maestria e  senso del dovere.

Io ero uno scolaro, ero un bambino, ed essere bambini in quegli anni a Trieste, città conquistata, persa, riconquistata, con una storia complessa e mal raccontata, se non addirittura nascosta, non era cosa facile,  ma noi non lo sapevamo.

Già, è cosa risaputa ed altrettanto sconosciuta nel suo più profondo, che la storia la scrivono i vincitori ed i perdenti soccombono.              "Guai ai Vinti” disse Brenno dopo aver sconfitto i Romani,  quindi la storia che dovevamo imparare era tutta scritta ad “usun delfini”, ad uso e consumo delle nuove generazioni che dovevano crescere a pane e “Cuore”, a pane e “Leggenda del Piave”, a pane e “Fratelli d’Italia”. Tutto normale, s’intende, niente di nuovo sotto il sole. E’ accaduto sempre ed accadrà ancora ma, in questo particolare stato di cose, troviamo una nazione sconfitta dal punto di vista bellico ed abbattuta dal punto di vista economico, che trovandosi però dalla parte giusta di quella cortina di ferro che da Stettino, scendendo lungo l’Adriatico,  passava per Trieste, ha potuto arrogarsi il diritto di imporsi come vincitrice e raccontare la storia secondo suo gradimento con il beneplacito delle potenze veramente vincitrici il secondo conflitto mondiale.

Smarcatasi dal fascismo, la cui unica responsabilità venne addossata  a Mussolini e a tutti i suoi  - non che non ne fosse responsabile,  ma non si può  neanche sostenere che le piazze non fossero affollate durante i suoi comizi -  e forte di questa nuova verginità democratica,  con le spalle protette dai vincitori e liberatori, ecco che si risolleva e  ci viene a raccontare la sua versione storica, la sua visione della storia delle nostre terre; ci racconta di una realtà già esistente quando la penisola italiana era ancora frastagliata in tanti piccoli o grandi staterelli spesso in lotta tra di loro.

Ma questa  è quella che  doveva essere la storia vera, non quella raccontata dai tanti indigeni, residuati stantii della Trieste multietnica, multiculturale e multi religiosa per tradizione secolare,  non quella raccontata nelle osterie dei rioni periferici della città o dei villaggi fuori porta, per lo più abitati dalla minoranza slovena. Già perché ormai a Trieste di cittadinanze ce ne erano rimaste solamente due: quella italiana, per lo più importata nel ventennio dalla lontana Puglia, dalla Sardegna o da chissà da che altro luogo  per ripulire l’humus non italico,  stabilitasi preferibilmente nella “city”,  e poi quella slovena residente preferibilmente nelle periferie.

La terza componente secolare di Trieste, quella austriaco-tedesca non esisteva più, e per tedesca, si badi bene,  intendo quella ante 1918 e non quella del Terzo Reich.                                                        

Ma quelle storie raccontate da questi ubriaconi, da questi  uomini senza cultura, già perché quei beoni  da “osmiza”  non sono altro che riesumazioni di fantasmi giallo-neri, con la divisa grigio-azzurra dell’Imperial-Regio Esercito, della KuK Armee.                                    Chiacchiere di contadini, di arsenalotti, di artigiani, di poveri di spirito. Ed erano ancora lì quando noi ragazzini studiavamo  sul sussidiario, unico libro per tutte le materie in quelli anni di scuola,  e con un unico maestro per tutte le discipline.                                        Lo ricordo ancora con molto affetto, era il maestro  Devescovi,  ma non ricordo, ahimè, il nome di battesimo... ah si, ora ripensandoci lo rammento, si chiamava Giovanni ed ogni tanto ci dava qualche ripetizione nella sua casa, abitava in via Guido Brunner  -  guarda un po'  prima del 1919 si chiamava "Via dei bachi"  -  C’era poi l’ora di religione, una sola religione quella cristiana-cattolica che anch’essa, tramite  il buon prete, mi ricordo che si chiamava don Agostino, ci rimandava al sacro onore di coloro che in nome del bene e contro il male si immolavano raggiungendo i  Campi Elisi degli italici eroi.        E poi c’era l’ora di educazione fisica, "super partes" si,  ma anch’essa con un inquadramento quanto meno di tipo militare o giù di lì.      Ma penso che queste cose succedevano in ogni dove, in fin dei conti tutto il mondo è paese.

Ecco che allora bisognava assolutamente fare qualcosa per tenere lontani i ragazzini, i prossimi cittadini “bianco-rosso-verdi”, da questo possibile inquinamento della storia, quella nuova storia, quella costruita e raccontata tante e tante volte così come una bugia che quando viene detta e ridetta all’infinito deve diventare e diventerà una verità sacro santa. Bisognava  sterilizzare  i cervelli, non si doveva permettere che il dubbio si insinuasse dentro noi ragazzini, facili soggetti da istruire, da abbindolare.

Ed allora forza a ricordare la prima guerra mondiale, quella del 1915/1918, s’intende,  e far dimenticare che a Trieste la Grande Guerra era  iniziata un anno prima, già nel 1914 perché eravamo cittadini austro-ungarici;  e forza ad  ignorare consapevolmente che il giorno 11 agosto del 1914 da Trieste partì Il 97° reggimento di fanteria Freiherr von Waldstätten con un contingente iniziale, dico iniziale,  di 4.300 uomini alla volta della Galizia, non quella spagnola ma quella dell’Europa Centrale,  là dei Carpazi.

Erano cittadini  fedeli alla loro “Heimat” , partiti, certamente non a cuor leggero,  ma partiti  per servire il loro Imperatore per poi essere ridicolizzati, canzonati …”quei del demoghela” si diceva,, troppo italiani per essere asburgici e troppo tedeschi per essere italiani e per questo malvisti e denigrati,  alla fine però con un medagliere di tutto rispetto.

Pochi tornarono e quelli che ci riuscirono furono subito inviati nei campi di rieducazione del centro e sud Italia perché dovevano essere bonificati dalla loro colpa di non aver disertato, dovevano essere redenti, e soprattutto dovevano tacere, non dovevamo raccontare la verità.

Noi ragazzini dovevamo assolutamente imparare a memoria la Canzone del Piave, dovevamo andare alle cerimonie ufficiali,  all’alza ed all’ammaina bandiera in Piazza Grande, poi  rinominata Piazza dell’Unità di Italia.

Dovevamo assolutamente andare alle manifestazioni nazional-patriottiche al Teatro Comunale G.Verdi  ed,  al lancio di pezzettini di carta tricolori,  gridare:  ”Fiume, Dalmazia, Italiane… Italiane…” ovviamente senza saper cosa dicevamo, forse senza sapere nemmeno dove si trovavano queste località, forse senza sapere perché non erano italiane;  ma bisognava gettare il seme…poi darà il suo frutto, ed io, non ancora adolescente,  c’ero .

Ragazzi che dovevano essere fieri della loro nuova patria, non quella dei loro genitori, dei loro nonni, dei loro avi ma quella dei padri, dei nonni dei nuovi arrivati,  di coloro che mandati quassù a Trieste conquistata avevano il compito di sostituirci, di ripulirci,  di redimerci.

Poi il tempo passa…

…e non ti importa più granchè di quello che in qualche modo ti ha risciacquato il cervello.

La routine della vita, il suo logorio, il lavoro, la famiglia i figli da crescere ti tengono lontano da queste tematiche che tutto sommato poco t’importano, l’importante è portare a casa lo stipendio a fine mese.

Poi gli anni  volano…

…e  trovi il tempo per ripensarci magari perché c’è qualche cerimonia di stampo antico, oppure c’è qualche ricorrenza che ti invita ad entrare e  capire,  ed allora  anch’essa si fa strada  nel tuo cervello ma in senso inverso e quindi ti fai delle domande ed inevitabilmente devi darti delle risposte.

 Ed allora ti chiedi…

… ma perché vengono osannati in modo totale solamente coloro che, indubbiamente motivati da loro rispettabili convinzioni, hanno disertato e sono passati dalla parte dell’avversario, dalla parte di chi prima era alleato poi subdolamente nemico.

Ti chiedi perché per tantissimo tempo coloro che hanno adempiuto il loro dovere e indossata la divisa grigio-azzurra del KuK Armee fino al sacrificio totale sono stati dimenticati, resi  inesistenti, cancellati, beffati.

E ti trovi,  senza renderti conto,  tra una patria imposta ed una identità scomparsa che riemerge nella mente se solamente ti soffermi a pensare o meglio a guardarti attorno,  a Trieste, nelle città del Sud-Tirolo, in quelle del Litorale Austriaco, a Görz, dove tutto ti manda in scompenso perché capisci che tutto ciò che ti è stato raccontato era una “bufala”, perché ti accorgi che tutto è diverso dal resto dell’Italia, ti accorgi che tutto traspira asburgico.

E ancora ti rendi conto che tutto ciò che ti era stato impianto nel cervello di ragazzino si poggiava solamente su parole, parole, parole, su aria fritta.

Evitabilmente ti casca il mondo.

Ed allora cerchi risposte e  vai a documentarti come ho fatto io, tardi senz’altro, ma meglio tardi che mai.

E così accadde che,  nel 2017,  in occasione del 300° genetliaco di Maria Teresa, qua a Trieste, mi son risvegliato dal sonno della ragione ed ho capito che Trieste è figlia dell’Austria, che Trieste è stata plasmata dalla “Unsere Landes Mutter Maria Teresa”, pur non avendola mai visitata;  l’ha fatto poi per Lei il figlio Giuseppe II, e gli altri.

Ed allora  capisci che gli sloveni sono qui da sempre, e ti accorgi che i serbi hanno contribuito alla grandezza della città,  che i commercianti greci come Demetrio Carciotti  hanno contribuito all'espansione di questa realtà in ascesa, e poi tutte le altre componenti come Armeni, Ebrei, Levantini in genere, come anche gli italiani Domenico Rossetti, Pasquale Revoltella, il boemo Josip Ressel, il grande plurinazionale Julius Kugy,  solo per citarne alcuni  tra i più importanti.

E scopri, come è accaduto a me, che le tue origini affondano in Boemia o in Slovacchia, oppure trovi tuoi cognomi anche a Budapest.

E allora ti rendi conto che il tricolore è solo un pietoso velo per nascondere la tua vera identità, la tua storia;                                        e nascondere la vera storia e l’identità di un popolo  è una sorta di genocidio.

 

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Non sono, lo confesso, un grande lettore, un divoratore di pagine su pagine fino all’estrema stanchezza, anzi sono esattamente l’opposto.

Ho in lettura 4 o 5 libri iniziati, mai conclusi,  che ogni tanto rispolvero e mi porto avanti di alcuni capitoli.

Qualcuno sostiene che aver in lettura più libri, anche di tematiche diverse, è segno di interesse, che ti dà la possibilità di variare tra letture amene e letture obbligate per motivi professionali, che si possa  trovare una connessione tra un libro, un autore ed altri che tieni in stand-by. Io non ne sono completamente convinto, penso che il mio caso è che sono un insoddisfatto, mi piace fare tante cose, e spesso le stesse mi danno noia e quindi cambio registro, lo so è sbagliato,  ma tant’è.

Questa volta però un libro che ho voluto leggere e portare a termine c'è,  e  mi ha aperto una visione ampia proprio su questo argomento.

Ho avuto l’occasione di procurarmi on-line,  in quanto lo spazio fisico per i libri cartacei nella mia piccola biblioteca ormai è esaurito, un libro di un autore concittadino di cui conoscevo la bravura ma non ne avevo mai letto nulla:  parlo di Paolo Rumiz e del libro “Come cavalli che dormono in piedi” , scritto in occasione dei cent’anni dall’inizio della Grande Guerra, nel 2013, ma in quell’anno io ero ancora storicamente  “anestetizzato”.

Mi ha profondamente preso e mi sono soffermato a lungo, in particolare,  sul secondo capitolo del quale desidero, più avanti, soffermarmi e fare qualche considerazione su  qualche passaggio più significativo senza in alcun modo violare la “royalty” dell’autore che certamente non me ne vorrà.

E’ per questo che mi sono messo alla tastiera.

Non è facile, devo confessare, lo scrivere per chi non è avvezzo a quest’arte, bisogna tener conto di tante cose,  in primis la sintesi, io invece sono molto prolisso,  e poi è ancora più difficile se si vuole imbarcarsi nell’avventura di raccontare se stessi, di aprire le porte dell’anima, e raccontare i sentimenti più reconditi che il pudore o forse conflitti interni sconosciuti e mai risolti te li hanno fatti celare.

E’ anche vero, però, che quando ti si innesca un “input” allora parti per la tangente e ti lasci trasportare dall’entusiasmo e butti giù parole su parole, righe su righe e poi leggi e rileggi e cambi e correggi fino a non trovare la strada giusta per raccontarti, per svelare il tuo conflitto interno che per tanto tempo ti ha tenuto prigioniero, forse senza neanche saperlo. 

Questo input l’ho avuto alcuni giorni fa quando occasionalmente ho dato una scorsa a quel  libro. Scrive bene il signor Paolo Rumiz, ci fa viaggiare attraverso il tempo e lo spazio stando tranquillamente seduti sul divano, ma soprattutto ci rimanda indietro nel tempo facendoci aprire gli occhi sulle cose che la storia recente ha voluto occultarci. 

"Come cavalli che dormono in piedi” è il racconto della sua ricerca della storia che segnò le terre di quella grande Europa del mondo di ieri e che una scintilla di Sarajevo ha fatto piombare nel buio e nella disperazione della guerra, della Grande Guerra.                                    E’ per lui il confronto di quella grande Europa, dove si poteva viaggiare per migliaia di chilometri senza mai cambiare convoglio, oppure capirti con una lingua franca valida in tutto l’Impero, oppure ancora essere sicuro si trovare ciò di cui abbisogni, un confronto con l’Europa dei giorni attuali, e per lui europeista convinto questo confronto gli lascia un certo amaro in bocca.

Ma è anche il racconto della ricerca della memoria cancellata, del ricordo dei tanti sudditi trentini  e giuliani che nel 1914, in più di centomila, sono partiti per andare a combattere sul fronte russo, là dei Carpazi.

E’ il racconto del suo viaggio verso la Galizia, mitica frontiera dell’Impero ora divisa tra Polonia ed Ucraina,  alla ricerca di quei piccoli cimiteri militari dove pietosamente qualcuno ha raccolto i miseri resti dei soldati caduti dai colpi del nemico o morti di freddo e di fame, dove poter forse riconoscere, su qualche sbiadita pietra tombale,  il nome di qualche nonno, qualche zio che non ha potuto far ritorno alla fine del disastro.

Il  secondo capitolo, è forse per noi di queste terre il più interessante proprio perché parla di noi, dei triestini, dei trentini dei goriziani che indossata la divisa della KuKArmee sono andati a morire per il loro imperatore.

...segue


Parte terza...in un altro ti svegli e devi cominciare da zero, situazioni che stancamente si ripetono senza tempo...

  Stavo vivendo una situazione che si ripeteva nel mio animo da anni e che da anni provavo piacere a riviverla.  Ogni anniversario, ogni man...